Passeggiando con la storia- S. Celestino
Passeggiando con la storia- S. Celestino
Passeggiando con la storia

A Gravina sono custoditi i corpi di due santi

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

A Gravina insiste una chiesa, purtroppo, oggi, chiusa al culto, denominata san Celestino. Le ragioni di tale denominazione sono racchiuse nelle pagine di storia che racconteremo in seguito. "La chiesa privata della famiglia Michele Pepe, denominata San Celestino, fu realizzata dalla fondamenta tra il 1770 e 1775 su commissione dei fratelli Passamonte: Michele teologo e Filippo primcerio entrambi canonici della regia cattedrale gravinese. Essa è ubicata nel corso Aldo Moro di Gravina tra le costruzioni di casa Passamonte - Pepe e Trotta Bruno. La famiglia Passamonte nel XVII secolo ebbe lo juspatronato della chiesa rupestre di S. Maria di Costantinopoli, che nel 1572 era tenuto dalla famiglia De Maestro Pacifico Vasay e Antonella de Scelzi.

Questa chiesa il 1705 fu sconsacrata e chiusa al culto da Monsignor Marcello Cavalieri, perché definita angusta ed oltretutto impraticabile e semisepolta da terra e detriti portati dagli acquazzoni. Per questo i fratelli Passamonte, per non perdere lo giuspatronato della perduta chiesa, fecero realizzare una cappella ex novo fuori le mura della "porta Aquila", dedicandola allo Spirito Santo e alla Madonna di Costantinopoli. Nel 1775 Papa Pio VI donò alla nuova chiesa dei Passamonte il corpo intero di San Celestino martire, con il privilegio delle indulgenze plenarie. Da questo momento la chiesa ed il quartiere che si era costituito intorno ad essa presero il nome di San Celestino.

Più dettagliate e circostanziate sono le notizie storiche sulla presenza dei resti mortali della santa martire Ciriaca a Gravina. "Il 27 febbraio 1805 nella vigna della nobile famiglia D'Amici, antico cimitero di Priscilla, sulla via Salaria a Roma, fu trovato un sarcofago di pietra con le ossa e il sangue in un'ampolla di S. Ciriaca con una lapide, conservata nei Musei Vaticani, la cui iscrizione greca, tradotta in latino recita: Faustinus memoriam posuit Cyriacae filiae… anno rum novem mensium duorum". Traduzione di Antonio Bronzini: "Faustino pose (questa lapide) in memoria di sua figlia Ciriaca di nove anni e due mesi".

La sacra reliquia fu donata da Papa Pio VII al Sig. Cav. Capitano delle sue guardie D. Raffaele pepe, di origini napoletane, vissuto sin dall'infanzia a Roma, il quale la offrì in segno di amicizia al Vicario Capitolare di Gravina, suo comprovinciale, il Canonico teologo Giuseppe Laragione, per arricchire e adornare la propria cappella privata. Affinchè potesse goderne l'intero popolo della sua diocesi, egli dispose che il prezioso dono fosse custodito nella chiesa del Monastero di S. Teresa. Racchiusa in una cassa sigillata, la Sacra Urna, in cui furono ricomposte le ossa e modellate le sembianze umane in cera, su disegno o ad opera dello scultore neoclassico Antono Canova, accolta nel tripudio del popolo festante e commosso, giunse a Gravina il 29 giugno 1815.

Fu posta temporaneamente nell'Oratorio Domestico del Palazzo Ducale, dove rimase fino al 10 luglio, quando alla presenza del Clero, dei devoti, del Regio Notaio Don Gerardo Tomacci, del General Sindaco Don Vincenzo Guida e di molti notabili del tempo furono controllati i sigilli con quelli originali, posseduti dal Vicario, e, non riscontrandosi alcuna infrazione e non essendoci, pertanto, dubbio alcuno sull'autenticità della cassa e, quindi, della Reliquia, si estrasse l'Urna, nella festosa cornice sonora di campane e mortaretti.

La domenica seguente, 16 luglio, si procedette alla traslazione del Sacro Corpo di S. Ciriaca Vergine e Martire nella chiesa di S. Teresa. Dopo una breve sosta al Monastero delle Clarisse di Santa Sofia, le quali vollero venerare la sacra reliquia, la processione per strada Capuana giunse al Monastero, dove alla presenza del Capitolo Cattedrale, del Vicario e delle Suore, inginocchiate e col volto velato, il notaio lesse l'atto di donazione.

Portata in chiesa l'Urna e posta sull'altare di S. Giuseppe, il Vicario tessè un panegirico alla fanciulla Martire e Santa. La domenica successiva, dopo una solenne Messa cantata, la sacra Urna fu riposta sotto l'altare maggiore. Purtroppo non fu quella la sistemazione definitiva, dal momento che la comunità fu costretta a trasferirsi prima presso il Palazzo Meninni di via Abbrazzo D'Ales e poi nel monastero costruito a ridosso della chiesa della Madonna delle Grazie, dove si trova ancora conservata, nonostante la comunità religiosa è stata da circa dieci anni soppressa.
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  • Giuseppe Massari
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