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Passeggiando con la storia

Gravina: Santa Sofia, tomba di Angela Castriota Skanderbeg

Rubrica "Passeggiando con la storia" di Giuseppe Massari

Il monumento occupa la parete sinistra del presbiterio della chiesa di Santa Sofia a Gravina.
La chiesa originaria e l'annesso convento si trovano nel centro cittadino e si sviluppano in un'insula caratterizzata dall'impianto quadrangolare dell'intero complesso. La chiesa fu ampliata agli inizi del Cinquecento per interessamento della duchessa Angela Castriota Scanderbeg, moglie di Ferdinando I Orsini e, dopo la sua morte, il marito vi fece erigere la tomba e, più tardi, nel 1539, vi affiancò un monastero di clarisse sotto il titolo di Santa Maria Scala Coeli, come rivela anche lo stemma con una scala. Nell'interno, ad aula unica, campeggia, alla parete sinistra, il mausoleo della duchessa Angela Castriota, mentre nelle altre pareti si conservano tracce degli altari cinquecenteschi con dipinti. L'alto edificio del monastero, sulla parte presenta una epigrafe dedicatoria, a grandi lettere capitali espresse con grazia e niellate, che menziona l'artefice, Mestro Desiderio Fecit 1540, a grandi lettere capitali espresse con grazia e niellate.

Il mausoleo, che misura 6,60 metri d'altezza e 3,20 di larghezza, di Angela Vernay o Bernai Castriota († 1518), figlia del duca di Ferrandina Giovanni Branai Castriota e di Giovanna Gaetani d'Aragona, risponde alla tipologia della grande edicola architettonica svettante su un'alta base e ospitante al centro il sarcofago e una lunetta scolpita con la figura a mezzo busto della Madonna col Bambino attorniata da teste di serafini. La cassa funebre, finemente decorata, poggia su un basamento la cui fronte reca incisa la seguente epigrafe in latino:

Angelae Castriotae inter principes foeminas
religione pudicitia prudentia caritate man
suetudine fecunditate insigni. immatura morte
praereptae, Ferdinandus Orsinus Gravinensium
Dux, Perpetuo eius desiderio superstes, Uxori
concordissimae ac benemerenti.
ann. autem sal. M.D.XVIII.


(La cui traduzione in italiano è : "Ad Angela Castriota tra le donne insigne per religiosità, pudicizia, saggezza, carità, mitezza, fecondità, strappata da morte prematura, Ferdinando Orsini duca di Gravina, in perenne ricordo di lei, sopravvissuto alla moglie molto dolce e benemerita. Anno MDXVIII").

Il sarcofago è sovrastato, in corrispondenza dei lati del coperchio, da una coppia di angeli reggiface semidistesi. Al di sopra della trabeazione, a sua volta sostenuta da semicolonne d'ordine gigante elegantemente ornate con ricchezza di motivi vegetali alternati a candelabri, campeggia lo stemma dei Castriota inquartato con quello degli Orsini.Commissionata, come si evince dall'iscrizione incisa nel basamento, dal marito Ferdinando Orsini duca di Gravina, la tomba di Angela Branai Castriota si presenta come un chiaro prodotto d'importazione dalla Capitale del Viceregno. Clara Gelao (1983) ne ha sottolineato il nesso tipologico, in relazione all'inquadramento architettonico, con il sepolcro di Aniello Arcamone commissionato nel 1513 allo scultore Antonino de Marco e custodito a Napoli nella chiesa di San Lorenzo Maggiore.

Altro monumento funebre che si può facilmente accostare all'opera gravinese è quello di Baldassarre Ricca in San Pietro ad Aram, sempre a Napoli, commissionato a Giovan Giacomo da Brescia nel 1519. A differenza della tomba Arcamone, che sul coperchio del sarcofago presenta la figura del semi-gisant, quella Ricca contempla, alla stregua del monumento Castriota Scanderbeg, i due angeli reggiface semigiacenti. Ulteriore elemento che avvicina sensibilmente i mausolei Ricca e Castriota è rappresentato dall'esuberante estro decorativo esibito dai rispettivi artefici sulle parti architettoniche dei due monumenti, ricoperti da una notevole messe di motivi vegetali, a candelabre o a festoni.

Tale caratteristica ha portato Riccardo Naldi (2004) a collocare la tomba di Gravina, almeno per ciò che concerne il lavoro d'ornato, nell'ambito di Giovan Giacomo da Brescia. Una qualità più elevata si rivela nella lunetta, nella quale è evidente un tentativo di replicare, sia nella tipologia, sia nello stile, l'analoga opera eseguita da Girolamo Santacroce negli anni venti del Cinquecento per la Cappella Del Doce nella chiesa napoletana di San Pietro Martire. Attribuita in passato (Gelao 1983) al Santacroce in persona, la lunetta è di certo la prova più chiara dell'appartenenza dell'autore del sepolcro Castriota al più stretto ambito del celebre maestro napoletano.
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