Passeggiando con la storia
Il 13 dicembre a Gravina tra proverbi, storia e scoperte
Rubrica "Passeggiando con la storia" di Giuseppe Massari
giovedì 12 dicembre 2019
Nelle piccole, nelle grandi realtà cittadine e paesane, come la nostra, anche i proverbi fanno storia. Sono la storia di un tessuto sociale, che se si evolve, resta ancorato a ciò che riesce ad essere sempre attuale e pertinente. Per la festività di domani, dedicata alla santa martire di Siracusa, la nostra storia conserva dei proverbi, che, ben volentieri riprendo dal testo di Mimma Dibenedetto e Tobia Granieri: Proverbi Gravinesi, Adda editore, Bari, 2000.
Sanda Lucì, manghe la notte e cresce la dì (Santa Lucia, 13 dicembre,c manca la notte e cresce il dì). Sanda Lucì, nu passe de iaddine la dì (A santa Lucia, un passo di gallina al giorno. Dopo il 13 dicembre, festa di santa lucia, la durata del dì comincia a crescere lentamente era vero fino alla riforma gregoriana). Intanto, nell'immaginario collettivo continua ad esistere questa credenza. Un altro proverbio, molto ricorrente e in uso tra la nostra popolazione è: Sanda Lucì, quande iè la notte tande iè la dì (A santa Lucia, il 13 dicembre, tanta è la notte quanto è il dì: tantew sono le ore di buio quanto quelle di luce. Poteva essere vero prima della riforma gregoriana del calendario giuliano. Anche questo proverbio, resiste, ancora, nell'uso corrente del nostro linguaggio in vernacolo.
Sulla festività, però, bisogna fare riferimento, come è giusto che sia, anche, alla storia della chiesa che racchiude il simulacro della santa e che da il nome al luogo sacro, dove, ogni anno, vengono celebrate le funzioni liturgiche. In una pubblicazione di Marisa D'Agostino del 2003: Chiesa di Santa Lucia, si legge che: La chiesa grotta S. Maria de Linaris (o della Nece o de Plagio, in tempi più recenti S. Lucia) era ubicata nel rione Piaggio, nel grande cavato a ridosso della grave erosa dalle acque del torrente Gravina. Qui svolse la funzione di punto di aggregazione per gli abitanti delle grotte circostanti come luogo di culto mariano tra le altre chiese-grotte dedicate ai santi orientali: S. Basilio e S. Andrea.
E' stata chiesa-beneficio, riportata nelle fonti anche come Abbazia. In tempi remotissimi è stata di certo la chiesa di un complesso monastico di ordine benedettino, guidato da un abate, il padre spirituale capace di ammaestrare i monaci, ma anche il rettore materiale della comunità. Per un lungo periodo la chiesa è stata riconosciuta ed è stata per lungo tempo Parrocchia. La chiesa era dotata di una piccola sacrestia con altare, docve il sacerdote indossava o dimetteva gli abiti per le clebrazioni; aveva anche un fonte di acqua benedetta, un campanile con campanella, una cisterna trasformata in luogo di sepoltura.
La chiesa, sul lato sinistro, aveva la cappella di S. Lucia, tutta di pietra con un gradino di accesso; sull'altare una cona, ex tela, cum figura S. Lucia nova cum cornicibus ligneis. La devozione per la martire siracusana doveva essere notevole e fortemente sentita, se nel 1574, durante la visita pastorale di Monsignor Bosio, primo devoto della santa, si contavano ex voto d'argento in grande quantità.
Sanda Lucì, manghe la notte e cresce la dì (Santa Lucia, 13 dicembre,c manca la notte e cresce il dì). Sanda Lucì, nu passe de iaddine la dì (A santa Lucia, un passo di gallina al giorno. Dopo il 13 dicembre, festa di santa lucia, la durata del dì comincia a crescere lentamente era vero fino alla riforma gregoriana). Intanto, nell'immaginario collettivo continua ad esistere questa credenza. Un altro proverbio, molto ricorrente e in uso tra la nostra popolazione è: Sanda Lucì, quande iè la notte tande iè la dì (A santa Lucia, il 13 dicembre, tanta è la notte quanto è il dì: tantew sono le ore di buio quanto quelle di luce. Poteva essere vero prima della riforma gregoriana del calendario giuliano. Anche questo proverbio, resiste, ancora, nell'uso corrente del nostro linguaggio in vernacolo.
Sulla festività, però, bisogna fare riferimento, come è giusto che sia, anche, alla storia della chiesa che racchiude il simulacro della santa e che da il nome al luogo sacro, dove, ogni anno, vengono celebrate le funzioni liturgiche. In una pubblicazione di Marisa D'Agostino del 2003: Chiesa di Santa Lucia, si legge che: La chiesa grotta S. Maria de Linaris (o della Nece o de Plagio, in tempi più recenti S. Lucia) era ubicata nel rione Piaggio, nel grande cavato a ridosso della grave erosa dalle acque del torrente Gravina. Qui svolse la funzione di punto di aggregazione per gli abitanti delle grotte circostanti come luogo di culto mariano tra le altre chiese-grotte dedicate ai santi orientali: S. Basilio e S. Andrea.
E' stata chiesa-beneficio, riportata nelle fonti anche come Abbazia. In tempi remotissimi è stata di certo la chiesa di un complesso monastico di ordine benedettino, guidato da un abate, il padre spirituale capace di ammaestrare i monaci, ma anche il rettore materiale della comunità. Per un lungo periodo la chiesa è stata riconosciuta ed è stata per lungo tempo Parrocchia. La chiesa era dotata di una piccola sacrestia con altare, docve il sacerdote indossava o dimetteva gli abiti per le clebrazioni; aveva anche un fonte di acqua benedetta, un campanile con campanella, una cisterna trasformata in luogo di sepoltura.
La chiesa, sul lato sinistro, aveva la cappella di S. Lucia, tutta di pietra con un gradino di accesso; sull'altare una cona, ex tela, cum figura S. Lucia nova cum cornicibus ligneis. La devozione per la martire siracusana doveva essere notevole e fortemente sentita, se nel 1574, durante la visita pastorale di Monsignor Bosio, primo devoto della santa, si contavano ex voto d'argento in grande quantità.