Passeggiando con la storia
Il Castello di Federico II tra realtà, mito e fantasia
Passeggiando con la storia, rubrica a cura di Giuseppe Massari
giovedì 18 luglio 2019
Parliamo, scriviamo, pensiamo al nostro castello, riflettiamo su questo monumento ma in una visione nuova. Alternativa, futurista. Questo è il senso della odierna puntata.
Quale e quanta importanza abbia avuto il castello fatto costruire da Federicco II nella nostra città, è riscontrabile in uno studio di Carl Arnold Willemsen. Lo studioso tedesco, infatti, richiamò la forte somiglianza con quella del ricovero fortificato di Kirk – Geuz – Han, presso Antilia in Turchia. Ma la sua importanza la si riscontra leggendo altri ed importanti documenti riguardanti la vita e le gesta dell'imperatore. In questa residenza da caccia, per la quale si parla di castrum et domus, il Puer Apuliae, almeno risiedette, di sicuro, tre volte: nel 1227, in occasione della concessione di un privilegio rilasciato a favore di Ramberto Ravaschieri, conte di Lavagna; nel 1234, quando destinò Gravina ad essere sede della Curia Generale di Puglia, Basilicata e Capitanata, presieduta da un vicario imperiale, da un giustiziere e da quattro probiviri (di cui due ecclesiastici), preposta a trattare le cause riguardanti i presunti abusi commessi dai funzionari imperiali; e nel 1241, anno in cui è attestato un privilegio concesso a Gravina dall'imperatore ad un certo Giovanni da Sorrento.
Ma più propriamente, sulla sua realizzazione, viene in soccorso il Nardone. Dallo storico gravinese si apprende che Federico II, per rendersi conto dello stato effettivo del suo regno si diede a visitare tutte le province di esso, avendo al suo seguito l'architetto-scultore fiorentino Fuccio, al quale commise l'incarico di costruire un maniero nella città che lo stesso Federico aveva definito "giardino delle delizia", "urbs opulenta". Giorgio Vasari, nel suo trattato: Vita dei celebri architetti e scultori e pittori, cita testualmente: "Dopo, tornato Nicola in Toscana, trovò che Fuccio s'era partito per Firenze e andato, in què giorni che da Onorio fu incoronato Federigo Imperatore, a Roma, e di Roma con Federigo a Napoli, dove finì il Castello di Capoana, oggi detta la Valcheria,… fece le porte sopra il fiume del volturno alla città di Capua, un Barco cinto di mura per l'uccellagione presso a Gravina…"
Il nostro maniero, che sorge a 450 metri sul livello del mare, censito in terra di Bari nello Statutum de reparatione castrorum, risulta costruito, nella varietà di tufo detta mazzaro abbondante nel territorio gravinese, ex novo insieme a quello di Castel del Monte, di forma rettangolare, misurava 58,50 m di lunghezza per 29 di larghezza. Di quel manufatto originale, purtroppo, oggi, resta solo il 20% , per via di saccheggi, incurie, depredazioni, asportazioni e manomissioni di pezzi, nonchè, anche, per fenomeni tellurici, come il terremoto del 1456. Maria Stella Calò Mariani, nel saggio: "Utilita e diletto. L'acqua e le residenze regie dell'Italia meridionale fra XII e XIII secolo, così lo descrive: "La dimora di caccia– un grande parallelepipedo orientato est-ovest di cui restano imponenti rovine – comprendeva al centro un luminoso cortile e sui lati brevi, in rapporto simmetrico tra loro, due corpi di fabbrica monumentali: quello occidentale con la porta magna sormontata da una torre e a est il palatium imperiale, alto due piani con ammezzato. Sui lati lunghi erano disposte costruzioni di servizio di altezza modesta. Il limpido impianto tripartito, inconsueto nelle architetture sveve, trova rispondenze per noi significative in edifici residenziali andalusi dei secoli XII-XIII".
Continua, ancora la Calò: "Ai piedi del castello di Gravina, significativi toponimi (il lago, la Pescara, Fontana, le Fontanelle, Masseria Pantano, a ovest; Piscina a nord; a est Pozzo e Parcone) sono la testimonianza – affievolita a causa delle modifiche subite dal paesaggio – di un contesto naturale ameno, ricco d'acqua, di vegetazione e di fauna. Il lago artificiale pescoso (la Pescara), canali e specchi d'acqua favorivano la sosta degli uccelli acquatici; cavalli di razza venivano allevati nelle maristalle imperiali; cervi, daini, caprioli popolavano la Foresta (Selva); fuori della cinta extra claustrum castri si estendevano le vigne". La costruzione doveva essere imponente, se è vero, come è vero, che dalla scoperta, più o meno recente, di alcuni documenti si apprende la destinazione del fabbricato, la sua suddivisione in stanze, pertienze e servizi. I documenti in oggetto sono stati consultati, letti e studiati dall'architetto Pietro Masciandaro, che ha pensato bene di ipotizzare, sin dal lontano 1996, una possibile ricostruzione del castello ab origine.
La prima testimonianza documentale, attualmente conservata, sotto forma di pergamena nella Regia Zecca di Napoli, è racchiusa in questa dettagliata descrizione: "ovvero il predetto fabbricato con accessori è costituito da una grande porta con tre serrature in ferro; ancora nello stesso fabbricato una barca rovinata di nessun valore, ancora una sala a piano terra e, quindi, la descrizione dei vani, delle cucine e delle stalle". Fatto, però, ancora più singolare, sempre dalla lettura di questo importantissimo documento, è la novità del nostro maniero, rispetto ad altri analoghi federiciani ed è quella riferita ad una delle cinque torri. "Ovvero: una torre sulla porta principale con una cappella dedicata a Santa Caterina con doppi accessori ed una doppia finestra (forse una bifora), ancora una porta da cui si sale alla predetta torre con un solo accesso".Nel documento si fa riferimento ad un altro importante elemento ed è quello che riguarda la posizione della Scala Regia. "Ovvero entrando a sinistrasi sale e vi è una camera con accessori privati ed una ciminiera".
L'altro documento è la descrizione dettagliata della città di Gravina, redatta nel 1608 dal tabulario napoletano Virgilio De Marino. L'autore, nel reintegrare quanto già descritto, rileva, anche e purtroppo, i danni che la costruzione ha subito nel corso degli anni. "Detto castiglio, scrive il De Marino, è una bona abitazione consistente in un cortiglio grande coverto et scoverto et al entrare di ditto cortiglio a man destra ci è la cappella con la icona de Sancta Caterina… allo oncontro della intrata di ditta casa ci è una logia coverta con archi voltati e pelastri di pietre gentile… quale stantie sono tutte a lamie ben fatte e forte et a mano sinistra di ditto cortiglio sono molte altre stantie dirute et vi è la grada per la quale si sale all'abitatione di sopra…"
Con questi sufficienti elementi descrittivi, è stato facile, per l'architetto Masciandaro, pensare ad una ipotesi ricostruttiva non fantasiosa, ma neanche lontano dalla realtà di quel tempo, di ciò che doveva essere una costruzione imponente, lussuosa, munita di tutti i comfort, imperiale, potremmo e dovremmo dire, per quanto usata solo in alcuni periodi dell'anno. Certo, è rimasto uno studio, una proposta. Ma come si sa le idee hanno bisogno delle gambe degli uomini, delle volontà delle persone e dei mezzi per camminare, che, in questo caso, si chiamano mezzi e strumenti finanziari. La storia, comunque e al di là di tutto, ha insegnato una cosa moto importante: Mai dire mai. Chissà che un giorno, molto lontano dall'oggi, dal presente, qualcuno potrà pensare di far diventare realtà quello che è stato un sogno chiuso nel cassetto della memoria sbagliata di enti ed istituzioni dedite al disinteresse.
(Foto d'archivio dell'Architetto Pietro Masciandaro)
Quale e quanta importanza abbia avuto il castello fatto costruire da Federicco II nella nostra città, è riscontrabile in uno studio di Carl Arnold Willemsen. Lo studioso tedesco, infatti, richiamò la forte somiglianza con quella del ricovero fortificato di Kirk – Geuz – Han, presso Antilia in Turchia. Ma la sua importanza la si riscontra leggendo altri ed importanti documenti riguardanti la vita e le gesta dell'imperatore. In questa residenza da caccia, per la quale si parla di castrum et domus, il Puer Apuliae, almeno risiedette, di sicuro, tre volte: nel 1227, in occasione della concessione di un privilegio rilasciato a favore di Ramberto Ravaschieri, conte di Lavagna; nel 1234, quando destinò Gravina ad essere sede della Curia Generale di Puglia, Basilicata e Capitanata, presieduta da un vicario imperiale, da un giustiziere e da quattro probiviri (di cui due ecclesiastici), preposta a trattare le cause riguardanti i presunti abusi commessi dai funzionari imperiali; e nel 1241, anno in cui è attestato un privilegio concesso a Gravina dall'imperatore ad un certo Giovanni da Sorrento.
Ma più propriamente, sulla sua realizzazione, viene in soccorso il Nardone. Dallo storico gravinese si apprende che Federico II, per rendersi conto dello stato effettivo del suo regno si diede a visitare tutte le province di esso, avendo al suo seguito l'architetto-scultore fiorentino Fuccio, al quale commise l'incarico di costruire un maniero nella città che lo stesso Federico aveva definito "giardino delle delizia", "urbs opulenta". Giorgio Vasari, nel suo trattato: Vita dei celebri architetti e scultori e pittori, cita testualmente: "Dopo, tornato Nicola in Toscana, trovò che Fuccio s'era partito per Firenze e andato, in què giorni che da Onorio fu incoronato Federigo Imperatore, a Roma, e di Roma con Federigo a Napoli, dove finì il Castello di Capoana, oggi detta la Valcheria,… fece le porte sopra il fiume del volturno alla città di Capua, un Barco cinto di mura per l'uccellagione presso a Gravina…"
Il nostro maniero, che sorge a 450 metri sul livello del mare, censito in terra di Bari nello Statutum de reparatione castrorum, risulta costruito, nella varietà di tufo detta mazzaro abbondante nel territorio gravinese, ex novo insieme a quello di Castel del Monte, di forma rettangolare, misurava 58,50 m di lunghezza per 29 di larghezza. Di quel manufatto originale, purtroppo, oggi, resta solo il 20% , per via di saccheggi, incurie, depredazioni, asportazioni e manomissioni di pezzi, nonchè, anche, per fenomeni tellurici, come il terremoto del 1456. Maria Stella Calò Mariani, nel saggio: "Utilita e diletto. L'acqua e le residenze regie dell'Italia meridionale fra XII e XIII secolo, così lo descrive: "La dimora di caccia– un grande parallelepipedo orientato est-ovest di cui restano imponenti rovine – comprendeva al centro un luminoso cortile e sui lati brevi, in rapporto simmetrico tra loro, due corpi di fabbrica monumentali: quello occidentale con la porta magna sormontata da una torre e a est il palatium imperiale, alto due piani con ammezzato. Sui lati lunghi erano disposte costruzioni di servizio di altezza modesta. Il limpido impianto tripartito, inconsueto nelle architetture sveve, trova rispondenze per noi significative in edifici residenziali andalusi dei secoli XII-XIII".
Continua, ancora la Calò: "Ai piedi del castello di Gravina, significativi toponimi (il lago, la Pescara, Fontana, le Fontanelle, Masseria Pantano, a ovest; Piscina a nord; a est Pozzo e Parcone) sono la testimonianza – affievolita a causa delle modifiche subite dal paesaggio – di un contesto naturale ameno, ricco d'acqua, di vegetazione e di fauna. Il lago artificiale pescoso (la Pescara), canali e specchi d'acqua favorivano la sosta degli uccelli acquatici; cavalli di razza venivano allevati nelle maristalle imperiali; cervi, daini, caprioli popolavano la Foresta (Selva); fuori della cinta extra claustrum castri si estendevano le vigne". La costruzione doveva essere imponente, se è vero, come è vero, che dalla scoperta, più o meno recente, di alcuni documenti si apprende la destinazione del fabbricato, la sua suddivisione in stanze, pertienze e servizi. I documenti in oggetto sono stati consultati, letti e studiati dall'architetto Pietro Masciandaro, che ha pensato bene di ipotizzare, sin dal lontano 1996, una possibile ricostruzione del castello ab origine.
La prima testimonianza documentale, attualmente conservata, sotto forma di pergamena nella Regia Zecca di Napoli, è racchiusa in questa dettagliata descrizione: "ovvero il predetto fabbricato con accessori è costituito da una grande porta con tre serrature in ferro; ancora nello stesso fabbricato una barca rovinata di nessun valore, ancora una sala a piano terra e, quindi, la descrizione dei vani, delle cucine e delle stalle". Fatto, però, ancora più singolare, sempre dalla lettura di questo importantissimo documento, è la novità del nostro maniero, rispetto ad altri analoghi federiciani ed è quella riferita ad una delle cinque torri. "Ovvero: una torre sulla porta principale con una cappella dedicata a Santa Caterina con doppi accessori ed una doppia finestra (forse una bifora), ancora una porta da cui si sale alla predetta torre con un solo accesso".Nel documento si fa riferimento ad un altro importante elemento ed è quello che riguarda la posizione della Scala Regia. "Ovvero entrando a sinistrasi sale e vi è una camera con accessori privati ed una ciminiera".
L'altro documento è la descrizione dettagliata della città di Gravina, redatta nel 1608 dal tabulario napoletano Virgilio De Marino. L'autore, nel reintegrare quanto già descritto, rileva, anche e purtroppo, i danni che la costruzione ha subito nel corso degli anni. "Detto castiglio, scrive il De Marino, è una bona abitazione consistente in un cortiglio grande coverto et scoverto et al entrare di ditto cortiglio a man destra ci è la cappella con la icona de Sancta Caterina… allo oncontro della intrata di ditta casa ci è una logia coverta con archi voltati e pelastri di pietre gentile… quale stantie sono tutte a lamie ben fatte e forte et a mano sinistra di ditto cortiglio sono molte altre stantie dirute et vi è la grada per la quale si sale all'abitatione di sopra…"
Con questi sufficienti elementi descrittivi, è stato facile, per l'architetto Masciandaro, pensare ad una ipotesi ricostruttiva non fantasiosa, ma neanche lontano dalla realtà di quel tempo, di ciò che doveva essere una costruzione imponente, lussuosa, munita di tutti i comfort, imperiale, potremmo e dovremmo dire, per quanto usata solo in alcuni periodi dell'anno. Certo, è rimasto uno studio, una proposta. Ma come si sa le idee hanno bisogno delle gambe degli uomini, delle volontà delle persone e dei mezzi per camminare, che, in questo caso, si chiamano mezzi e strumenti finanziari. La storia, comunque e al di là di tutto, ha insegnato una cosa moto importante: Mai dire mai. Chissà che un giorno, molto lontano dall'oggi, dal presente, qualcuno potrà pensare di far diventare realtà quello che è stato un sogno chiuso nel cassetto della memoria sbagliata di enti ed istituzioni dedite al disinteresse.
(Foto d'archivio dell'Architetto Pietro Masciandaro)