Passeggiando con la storia
In via Nunzio Incannamorte un tesoro artistico e storico sconosciuto
Passeggiando con la storia, rubrica a cura di Giuseppe Massari
giovedì 13 giugno 2019
Le foto di accompagnamento alla odierna puntata della nostra rubrica, credo siano una rarità all'occhio distratto e disattento di molti cittadini gravinesi. Le immagini fanno parte di un corredo architettonico sulla facciata di un palazzo sito tra il civico 17 e 19 di via Nunzio Incannamorte, un tempo via Giosia Gentile.
Su questi manufatti, le notizie storiche sono carenti se non addirittura inesistenti. Nessun testo storico ne parla e nessuno storico locale ha mai fatto riferimento o cenno. Perché si trovassero lì, che cosa rappresentassero è stato un mistero e continuerà ad esserlo. Anzi, la mancanza di fonti e riferimenti ha fatto scatenare la fantasia cittadina, almeno quella di un tempo, di chi abitava in quella via o nei pressi, definendole le statue dei sette re di Roma. Da quello che si riesce a vedere, sia pure nelle condizioni in cui sono ridotte, si scorgono anche volti femminili. Quindi, questa leggenda metropolitana è da escludere categoricamente.
Cercando, frugando su alcuni testi, come riporto in seguito, io mi sono fatto una idea ed una ipotesi, partendo dall'antico nome della strada: via Giosia Gentile. Chi era costui? Alcune notizie su questo personaggio le troviamo nella pubblicazione di Giuseppe Lucatuorto: Gravina Urbs Opulenta, Grafiche Savarese Bari, 1975. Scrive il Lucatuorto: "Gentile Giosia: insigne letterato, trasferitosi da Bitonto a Gravina nel secolo XVII. Discendente da antica e nobile famiglia feudataria, che ebbe a capostipite un Guglielmo, detto Gentile, conte di Lesina".
Ad un altro personaggio, presumibilmente dello stesso casato, Patrizio Gentile, fa riferimento Giuseppe de Ninno nel suo: Illustri gravinesi per virtù, lettere, scienze, ed arti, Gravina, Tipografia L. Attolini, 1906. "Patrizio Gentile visse nel secolo XVII, e fu chiarissimo letterato del suo tempo. Niccolò Toppi lo ricorda a pag. 347 della sua Biblioteca Napoletana. Il Gentile si appartenne a famiglia patrizia, la quale di poi da Gravina ritornò a far domicilio in Genova, secondo appunto ci fa sapere il Padre Fra Bonaventura da lama nella Cronica dei Minori Osservanti della Provincia di S. Nicolò".
Da queste breve notizie storico- biografiche si può, facilmente, desumere che il palazzo o la costruzione, dove insistono i sette medaglioni, abbia potuto appartenere o fatto costruire da questa nobile famiglia, la quale ha voluto che fossero raffigurati alcuni componenti il casato. Ma è solo una ipotesi, non confortata da elementi probanti. Un solo accenno a queste sculture o a quelle che un tempo potevano essere tali, è riscontrabile nella guida toponomastica della nostra città, curata da Fedele Raguso e Marisa D'Agostino: In Gravina per le vie stradario toponomastico-guida, aprile 1984.
In una nota, a margine del toponimo riferito al Capitano Medaglia D'oro al Valor Militare Nunzio Ingannamorte, nato in quella via, (un tempo, il cognome era riportato con la g; fino a quando gli stessi familiari hanno sancito la veridicità del loro cognome da scriversi con la c e far cambiare la targa onomastica della stessa via), già via dei Gentili, o del Giosia (gesine), è scritto quanto segue: "Portale casa Gentili, (corredata di foto). Il portale è l'autentico di Casa Gentili. Sorti sui resti di una precedente costruzione del sec. XVI. La via era stata dedicata alla famiglia più nobile che vi abitò. Al lato destro del portale ci sono medaglioni riproducesti immagini dei componenti Gentili". E' la ipotesi più accreditata, ma non certa e non confermata.
Al di là di tutto, resta la meraviglia, almeno per quanto mi riguarda, nell'aver scoperto, alla mia età un qualcosa di cui ho sempre ignorato l'esistenza, come credo molti altri miei compaesani. La storia è bella perché non finisce mai di stupire e di sorprendere con le sue verità nascoste, non visibili; non a portato di mano, ma pur sempre valide ed interessanti per ricostruire, per ricollegare il passato al presente. La memoria del tempo proiettata nella storia da costruire, da far nascere nel solco e nel segno della tradizione e della conservazione. Del rispetto, oserei dire, della venerazione sacrale da trasmettere, perché nulla vada ancora e sempre perso, secondo un antico modo di vivere, una atavica abitudine, con superficialità e disinteresse, in questa nostra terra, patria dei nostri padri.
Foto di Giuseppe Digennaro
Su questi manufatti, le notizie storiche sono carenti se non addirittura inesistenti. Nessun testo storico ne parla e nessuno storico locale ha mai fatto riferimento o cenno. Perché si trovassero lì, che cosa rappresentassero è stato un mistero e continuerà ad esserlo. Anzi, la mancanza di fonti e riferimenti ha fatto scatenare la fantasia cittadina, almeno quella di un tempo, di chi abitava in quella via o nei pressi, definendole le statue dei sette re di Roma. Da quello che si riesce a vedere, sia pure nelle condizioni in cui sono ridotte, si scorgono anche volti femminili. Quindi, questa leggenda metropolitana è da escludere categoricamente.
Cercando, frugando su alcuni testi, come riporto in seguito, io mi sono fatto una idea ed una ipotesi, partendo dall'antico nome della strada: via Giosia Gentile. Chi era costui? Alcune notizie su questo personaggio le troviamo nella pubblicazione di Giuseppe Lucatuorto: Gravina Urbs Opulenta, Grafiche Savarese Bari, 1975. Scrive il Lucatuorto: "Gentile Giosia: insigne letterato, trasferitosi da Bitonto a Gravina nel secolo XVII. Discendente da antica e nobile famiglia feudataria, che ebbe a capostipite un Guglielmo, detto Gentile, conte di Lesina".
Ad un altro personaggio, presumibilmente dello stesso casato, Patrizio Gentile, fa riferimento Giuseppe de Ninno nel suo: Illustri gravinesi per virtù, lettere, scienze, ed arti, Gravina, Tipografia L. Attolini, 1906. "Patrizio Gentile visse nel secolo XVII, e fu chiarissimo letterato del suo tempo. Niccolò Toppi lo ricorda a pag. 347 della sua Biblioteca Napoletana. Il Gentile si appartenne a famiglia patrizia, la quale di poi da Gravina ritornò a far domicilio in Genova, secondo appunto ci fa sapere il Padre Fra Bonaventura da lama nella Cronica dei Minori Osservanti della Provincia di S. Nicolò".
Da queste breve notizie storico- biografiche si può, facilmente, desumere che il palazzo o la costruzione, dove insistono i sette medaglioni, abbia potuto appartenere o fatto costruire da questa nobile famiglia, la quale ha voluto che fossero raffigurati alcuni componenti il casato. Ma è solo una ipotesi, non confortata da elementi probanti. Un solo accenno a queste sculture o a quelle che un tempo potevano essere tali, è riscontrabile nella guida toponomastica della nostra città, curata da Fedele Raguso e Marisa D'Agostino: In Gravina per le vie stradario toponomastico-guida, aprile 1984.
In una nota, a margine del toponimo riferito al Capitano Medaglia D'oro al Valor Militare Nunzio Ingannamorte, nato in quella via, (un tempo, il cognome era riportato con la g; fino a quando gli stessi familiari hanno sancito la veridicità del loro cognome da scriversi con la c e far cambiare la targa onomastica della stessa via), già via dei Gentili, o del Giosia (gesine), è scritto quanto segue: "Portale casa Gentili, (corredata di foto). Il portale è l'autentico di Casa Gentili. Sorti sui resti di una precedente costruzione del sec. XVI. La via era stata dedicata alla famiglia più nobile che vi abitò. Al lato destro del portale ci sono medaglioni riproducesti immagini dei componenti Gentili". E' la ipotesi più accreditata, ma non certa e non confermata.
Al di là di tutto, resta la meraviglia, almeno per quanto mi riguarda, nell'aver scoperto, alla mia età un qualcosa di cui ho sempre ignorato l'esistenza, come credo molti altri miei compaesani. La storia è bella perché non finisce mai di stupire e di sorprendere con le sue verità nascoste, non visibili; non a portato di mano, ma pur sempre valide ed interessanti per ricostruire, per ricollegare il passato al presente. La memoria del tempo proiettata nella storia da costruire, da far nascere nel solco e nel segno della tradizione e della conservazione. Del rispetto, oserei dire, della venerazione sacrale da trasmettere, perché nulla vada ancora e sempre perso, secondo un antico modo di vivere, una atavica abitudine, con superficialità e disinteresse, in questa nostra terra, patria dei nostri padri.
Foto di Giuseppe Digennaro