Passeggiando con la storia
Salvatore Divella Imprenditore, Commendatore della Corona d’Italia, Grand’Ufficiale della Corona d’Italia
Fu anche Grande Ufficiale del Sovrano Militare Ordine Equestre dei Santissimi Vittore e Giorgio di Lituania
giovedì 25 luglio 2019
Riprendere la storia personale, anagrafica, imprenditoriale di Salvatore Divella, confesso che, per me, non è stato facile. Trovarsi di fronte ad un colosso, ad un gigante, ad un genio, ad un figlio del Mezzogiorno d'Italia, che approda, tramite la sua famiglia d'origine, a Gravina, dopo il trasferimento, da Noicattaro, del padre nella città in cui sposa la gravinese Rosa Stimola, è stato per me commovente e motivo di orgoglio. Confesso una debolezza. Quest'uomo, per essere stato uno dei pochi imprenditori veri, unici e rari, insieme a Leonardo Centrone, originario di Grumo Appula, giunto nella nostra città da operaio e che diventa imprenditore, datore di lavoro, non poteva che suscitare stima, interesse e grandissima considerazione. Salvatore Divella, un uomo che ha operato in anni difficili, ma che è riuscito ad imporre le sue linee guida, sviluppando e distribuendo economia positiva, benessere, occupazione e progresso sociale.
Di ben 700 unità lavorative è stato l'ammontare di operai e impiegati che hanno lavorato alle sue dipendenze. 700 famiglie che trovarono la soluzione ai bisogni primari della sussistenza. 700 famiglie che ebbero di che vivere per sfamare i loro figli; per dare dignità al loro futuro. Più che le mie parole, forse, è giusto far parlare la sua vita, attingendo dai dati biografici ed anagrafici. Salvatore Divella, secondogenito di Agostino e Rosa Stimola, nacque a Gravina in Puglia il 23 settembre 1904. In età scolare frequentò le scuole elementari a Noicattaro e la Scuola tecnica a Rutigliano. Nel 1920 la famiglia si trasferì definitivamente a Gravina. All'età di 15 anni fu, per un biennio seminarista presso il Seminario del Beato Giacomo di Bitetto. Prestò il servizio militare di leva, prima a Civitavecchia e poi a Roma, come addetto al Servizio Radio – Telegrafico.
Lui e il fratello Francesco, impazienti di aspettare l'avvio del mulino che il padre stava allestendo a Gravina, presero in fitto, per qualche anno, un piccolo mulino a Polignano a Mare. Nel dicembre del 1930 sposa la giovane signorina Irene Stella Reale di Fasano, dalla quale ebbe sette figli: Rosamaria, Eloisa (morta per tifo all'età di 7 anni), Agostino detto Nino, a cui va la sincera gratitudine per avermi fornito la documentazione famigliare ed imprenditoriale del padre, Franco, Eloisa II, Walter e William. Buttatosi a capofitto alla guida degli opifici molitori e dell'arte bianca, si dedicò con passione, dando un concreto, sostanziale e proficuo impulso ai processi di lavorazione e commercializzazione dei prodotti, integrandosi a pieno regime nelle attività delle aziende alimentari. Fu pioniere ed antesignano, precorrendo i tempi, assumendo all'interno della azienda anche la manodopera femminile. Seppe vedere lontano, con grande acume e lungimiranza. Seppe trasformare non solo i prodotti cerealicoli, ma anche le persone, soprattutto i suoi dipendenti, trasformandoli, invogliandoli, incoraggiandoli a diventare operai specializzati.
.Anche in questo ebbe ragione, se è vero, come è vero, che i suoi manovali, diventate maestranze qualificate furono apprezzate in Puglia e all'estero. L'azienda cresceva nelle commesse, negli ordini, nella espansione della sua rete commerciale, nonostante i disagi che la politica aveva potuto creargli, soprattutto durante il fascismo, quando fu condannato ad un anno di confino politico, che non scontò mai. Il percorso commerciale dei suo opifici non conosceva soste. Si era agli inizi di quello che la storia avrebbe designato e definito boom economico. Il lavoro, i prodotti galoppavano a tal punto da toccare i mercati esteri ed internazionali. La città di Gravina, il nome Divella, con la ragione sociale Salve Diva, associato a pasta, grano, latticini locali, travalicarono i confini oltre oceano, fino a raggiungere la Grande Mela, Chicago, per poi arrivare, anche a Liverpool, Londra, Tripoli e la Grecia. La merce viaggiava stivata nelle navi. Intanto e nel frattempo, per i meriti conseguiti sul campo fu beneficiario di molte onorificenze. Nel 1944 fu insignito del titolo di Commendatore della Corona d'Italia; il 15 maggio del 1946, il re, Vittorio Emanuele III, con motu proprio gli conferì il titolo di Grand'Ufficiale della Corona d'Italia; il 2 giugno dello stesso anno conseguì il titolo di Grande Ufficiale del Sovrano Militare Ordine Equestre dei Santissimi Vittore e Giorgio di Lituania.
Don Salvatore, come lo chiamava gran parte della gente; il commendatore, come era conosciuto negli ambienti dell'alta finanza e della imprenditoria nazionale, fu un grande genio anche nel campo della comunicazione. I suoi prodotti venivano pubblicizzati attraverso ogni tipo e forma di marketing. Alla Fiera del Levante faceva degustare "Pasta Diva" in piatti di ceramica, con il logo "Salve Diva", che regalava ai degustatori. La realizzazione di gadget di qualità: calendari illustrati, orologi da muro; il finanziamento della squadra di calcio, "Salve Diva"; la sponsorizzazione, attraverso la stesura di una canzone-samba, composta dal duo Elia-Giovanniello, come spot cantato da Nilla Pizzi e dal Duo Fasano, accompagnati dall'orchestra diretta dal Maestro Cinico Angelini e registrato su un disco a 78 giri.
Nonostante questi indubbi successi, purtroppo, arrivarono le prime grane sul grano, contro il grano, contro il titolare. Una vera arte demolitoria contro l'arte molitoria. Dardi politici e sindacali si abbattettero come saette all'indomani dell'attentato al segretario del PCI, Palmiro Togliatti, avvenuto il 14 luglio 1948, quando in occasione dello sciopero nazionale proclamato il giorno dopo, Divella decise di non aderirvi. Quella giornata storica e tragica è stata da me ampiamente descritta nel volume: "Gravina: Antonio Bonavita il Carabiniere dimenticato", The Boopen Editore, Settembre 2008. Ma fu solo l'inizio della fine,. Il pretesto, la scusa, la goccia che fece traboccare il vaso per l'inizio di una campagna spietata, mirata, tesa a distruggere solo il benessere dei lavoratori, nonostante si predicasse in nome dei loro diritti. Certo, la storia non è ancora compiuta o matura per dirci quello che è successo con la distruzione di un opificio, che ha arrecato danni all'imprenditore, fino ad indurlo al fallimento e al suicidio, ma, ancor di più a quella gente che è stata costretta ad emigrare, a perdere la sicurezza del posto di lavoro e che ciononostante è stata sempre oggetto di vessazioni da parte delle stesse sigle sindacali e politiche, se non addirittura sfruttata in termini elettoralistici. Una politica miope, insensata, irrazionale, finalizzata al tornaconto di alcuni politici locali, tutti di sinistra, i quali non hanno mai voluto che la classe operaia progredisse, altrimenti, temevano di perdere il consenso. Questa è stata la sinistra che ha governato la città.
Fu la fine di un impero, disse qualcuno dei responsabili della distruzione, dell'annientamento metodico e sistematico di una fucina di lavoro, di idee, di progetti. Certo, l'attività continuò fino a quando qualcuno non spense le ultime speranze per salvarla, tenendo sempre accesa la fiamma per affossarla. Quell'industria, basata su una serie di attività collaterali, spense i suoi fari per sempre sul finire degli anni 70. Fu tacitata per sempre quella sirena che annunziava, come nelle grandi fabbriche del Nord, l'inizio e la fine di ogni turno lavorativo. Una chiusura forzata, decisa da altri, dai parassiti della politica. Un destino crudele che ebbe il suo epilogo il 9 gennaio 1977, si abbattè su un uomo allo stremo delle sue forze, già debilitato fisicamente da un ictus che lo aveva colpito l'anno prima, il commendatore, decise di lasciare, tragicamente, per sempre il suo campo di battaglia, il suo campo d'azione.
*Il testo parziale della scheda biografica è inserito nel volume: Salvatore Divella 1904 -1977, (a cura di Tato Divella) Mario Adda Editore, Bari 2018.
(Le foto sono state tratte dall'archivio della Famiglia Divella, messomi a disposizione dal figlio Agostino Divella)
Giuseppe Massari
Di ben 700 unità lavorative è stato l'ammontare di operai e impiegati che hanno lavorato alle sue dipendenze. 700 famiglie che trovarono la soluzione ai bisogni primari della sussistenza. 700 famiglie che ebbero di che vivere per sfamare i loro figli; per dare dignità al loro futuro. Più che le mie parole, forse, è giusto far parlare la sua vita, attingendo dai dati biografici ed anagrafici. Salvatore Divella, secondogenito di Agostino e Rosa Stimola, nacque a Gravina in Puglia il 23 settembre 1904. In età scolare frequentò le scuole elementari a Noicattaro e la Scuola tecnica a Rutigliano. Nel 1920 la famiglia si trasferì definitivamente a Gravina. All'età di 15 anni fu, per un biennio seminarista presso il Seminario del Beato Giacomo di Bitetto. Prestò il servizio militare di leva, prima a Civitavecchia e poi a Roma, come addetto al Servizio Radio – Telegrafico.
Lui e il fratello Francesco, impazienti di aspettare l'avvio del mulino che il padre stava allestendo a Gravina, presero in fitto, per qualche anno, un piccolo mulino a Polignano a Mare. Nel dicembre del 1930 sposa la giovane signorina Irene Stella Reale di Fasano, dalla quale ebbe sette figli: Rosamaria, Eloisa (morta per tifo all'età di 7 anni), Agostino detto Nino, a cui va la sincera gratitudine per avermi fornito la documentazione famigliare ed imprenditoriale del padre, Franco, Eloisa II, Walter e William. Buttatosi a capofitto alla guida degli opifici molitori e dell'arte bianca, si dedicò con passione, dando un concreto, sostanziale e proficuo impulso ai processi di lavorazione e commercializzazione dei prodotti, integrandosi a pieno regime nelle attività delle aziende alimentari. Fu pioniere ed antesignano, precorrendo i tempi, assumendo all'interno della azienda anche la manodopera femminile. Seppe vedere lontano, con grande acume e lungimiranza. Seppe trasformare non solo i prodotti cerealicoli, ma anche le persone, soprattutto i suoi dipendenti, trasformandoli, invogliandoli, incoraggiandoli a diventare operai specializzati.
.Anche in questo ebbe ragione, se è vero, come è vero, che i suoi manovali, diventate maestranze qualificate furono apprezzate in Puglia e all'estero. L'azienda cresceva nelle commesse, negli ordini, nella espansione della sua rete commerciale, nonostante i disagi che la politica aveva potuto creargli, soprattutto durante il fascismo, quando fu condannato ad un anno di confino politico, che non scontò mai. Il percorso commerciale dei suo opifici non conosceva soste. Si era agli inizi di quello che la storia avrebbe designato e definito boom economico. Il lavoro, i prodotti galoppavano a tal punto da toccare i mercati esteri ed internazionali. La città di Gravina, il nome Divella, con la ragione sociale Salve Diva, associato a pasta, grano, latticini locali, travalicarono i confini oltre oceano, fino a raggiungere la Grande Mela, Chicago, per poi arrivare, anche a Liverpool, Londra, Tripoli e la Grecia. La merce viaggiava stivata nelle navi. Intanto e nel frattempo, per i meriti conseguiti sul campo fu beneficiario di molte onorificenze. Nel 1944 fu insignito del titolo di Commendatore della Corona d'Italia; il 15 maggio del 1946, il re, Vittorio Emanuele III, con motu proprio gli conferì il titolo di Grand'Ufficiale della Corona d'Italia; il 2 giugno dello stesso anno conseguì il titolo di Grande Ufficiale del Sovrano Militare Ordine Equestre dei Santissimi Vittore e Giorgio di Lituania.
Don Salvatore, come lo chiamava gran parte della gente; il commendatore, come era conosciuto negli ambienti dell'alta finanza e della imprenditoria nazionale, fu un grande genio anche nel campo della comunicazione. I suoi prodotti venivano pubblicizzati attraverso ogni tipo e forma di marketing. Alla Fiera del Levante faceva degustare "Pasta Diva" in piatti di ceramica, con il logo "Salve Diva", che regalava ai degustatori. La realizzazione di gadget di qualità: calendari illustrati, orologi da muro; il finanziamento della squadra di calcio, "Salve Diva"; la sponsorizzazione, attraverso la stesura di una canzone-samba, composta dal duo Elia-Giovanniello, come spot cantato da Nilla Pizzi e dal Duo Fasano, accompagnati dall'orchestra diretta dal Maestro Cinico Angelini e registrato su un disco a 78 giri.
Nonostante questi indubbi successi, purtroppo, arrivarono le prime grane sul grano, contro il grano, contro il titolare. Una vera arte demolitoria contro l'arte molitoria. Dardi politici e sindacali si abbattettero come saette all'indomani dell'attentato al segretario del PCI, Palmiro Togliatti, avvenuto il 14 luglio 1948, quando in occasione dello sciopero nazionale proclamato il giorno dopo, Divella decise di non aderirvi. Quella giornata storica e tragica è stata da me ampiamente descritta nel volume: "Gravina: Antonio Bonavita il Carabiniere dimenticato", The Boopen Editore, Settembre 2008. Ma fu solo l'inizio della fine,. Il pretesto, la scusa, la goccia che fece traboccare il vaso per l'inizio di una campagna spietata, mirata, tesa a distruggere solo il benessere dei lavoratori, nonostante si predicasse in nome dei loro diritti. Certo, la storia non è ancora compiuta o matura per dirci quello che è successo con la distruzione di un opificio, che ha arrecato danni all'imprenditore, fino ad indurlo al fallimento e al suicidio, ma, ancor di più a quella gente che è stata costretta ad emigrare, a perdere la sicurezza del posto di lavoro e che ciononostante è stata sempre oggetto di vessazioni da parte delle stesse sigle sindacali e politiche, se non addirittura sfruttata in termini elettoralistici. Una politica miope, insensata, irrazionale, finalizzata al tornaconto di alcuni politici locali, tutti di sinistra, i quali non hanno mai voluto che la classe operaia progredisse, altrimenti, temevano di perdere il consenso. Questa è stata la sinistra che ha governato la città.
Fu la fine di un impero, disse qualcuno dei responsabili della distruzione, dell'annientamento metodico e sistematico di una fucina di lavoro, di idee, di progetti. Certo, l'attività continuò fino a quando qualcuno non spense le ultime speranze per salvarla, tenendo sempre accesa la fiamma per affossarla. Quell'industria, basata su una serie di attività collaterali, spense i suoi fari per sempre sul finire degli anni 70. Fu tacitata per sempre quella sirena che annunziava, come nelle grandi fabbriche del Nord, l'inizio e la fine di ogni turno lavorativo. Una chiusura forzata, decisa da altri, dai parassiti della politica. Un destino crudele che ebbe il suo epilogo il 9 gennaio 1977, si abbattè su un uomo allo stremo delle sue forze, già debilitato fisicamente da un ictus che lo aveva colpito l'anno prima, il commendatore, decise di lasciare, tragicamente, per sempre il suo campo di battaglia, il suo campo d'azione.
*Il testo parziale della scheda biografica è inserito nel volume: Salvatore Divella 1904 -1977, (a cura di Tato Divella) Mario Adda Editore, Bari 2018.
(Le foto sono state tratte dall'archivio della Famiglia Divella, messomi a disposizione dal figlio Agostino Divella)
Giuseppe Massari